COLLECTION DE L’ÉCOLE FRANÇAISE DE ROME - 516
11
L’ARCHEOLOGIA DELLA PRODUZIONE A ROMA
(SECOLI V-XV)
Atti del Convegno Internazionale di Studi
Roma, 27-29 marzo 2014
a cura di
Alessandra Molinari, Riccardo Santangeli Valenzani e Lucrezia Spera
Coordinamento scientifico della banca dati
e cura redazionale del volume
Cinzia Palombi
Realizzazione e gestione della piattaforma GIS
Nicoletta Giannini
ESTRATTO
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PRODUZIONI ARTIGIANALI NELLA BASILICA HILARIANA
SUL CELIO FRA TARDA ANTICHITÀ E ALTO MEDIOEVO
Maria Elena Calabria, Daniela Ferro, Paola Palazzo, Marina Parenti, Tamara Patilli,
Carlo Pavolini, Ida Anna Rapinesi, Lucia Saguì
Introduzione
La pubblicazione definitiva degli scavi della Basilica Hilariana nell’Ospedale Militare Celio, apparsa
pochi mesi prima del convegno su ‘L’archeologia della
produzione a Roma’ 1, ci esime dal riproporre qui un inquadramento generale dell’edificio e della sua vicenda
edilizia, stratigrafica e storico-religiosa. Tuttavia, per
mera comodità si può riprodurre (fig. 1) uno stralcio della
planimetria della sommità del colle, planimetria già
edita in precedenza, ma ripubblicata con leggere modifiche in quel volume 2. È doveroso avvertire che, per
ciò che riguarda la Basilica (Saggio III), si tratta di una
pianta cumulativa di fine scavo delle sole murature, le
quali appartengono quindi a fasi diverse, e non hanno
necessariamente ‘convissuto’ le une con le altre.
Detto questo, anche per l’estrema ristrettezza dello
spazio disponibile tratteremo solo delle fasi nelle quali
sono maggiormente presenti quelle realtà materiali che
rinviano con certezza ad attività manifatturiere, che si
tratti sia di strutture e di elementi stratigrafici ‘orizzontali’ ad esse collegate (strati, pavimenti, battuti,
ecc.), sia di interri e scarichi contenenti scarti di lavorazione e altri indicatori di produzione. Questi ultimi
saranno un po’ più ampiamente discussi nelle sezioni
che seguono, suddivisi per classi di materiali e per tipologie di reperti.
È noto che l’edificio quale oggi lo vediamo (sia pure
mal conservato), a partire dalla sua fase d’impianto dell’età di Antonino Pio 3 fu destinato a fungere da schola
collegiale della confraternita dei dendrophori, addetti al
culto della Magna Mater e – in modo particolare – di
Attis 4. Elementi di carattere religioso vennero quindi
introdotti, con ogni probabilità, nell’assetto architettonico del pianterreno (la sola parte della Basilica che ci
sia nota), accanto agli spazi destinati alla vita del collegio, alla rappresentanza, alle attività di servizio: ma
– per i motivi di cui sopra – non è il caso di diffondersi
nuovamente su questi dati, già ampiamente divulgati.
Venendo invece alle cose che ci interessano più direttamente, la Fase 3 – databile attorno alla prima metà
del III secolo 5 – vide l’inserimento, nei vani Sud-Est
della Basilica (che nell’impianto antonino originario
avevano avuto la funzione di ambienti e corridoi di servizio), di installazioni palesemente funzionali ad attività artigianali (figg. 2-3 e tav. XX). Si tratta di
alloggiamenti per fistulae (e ci sono resti di vasche, che
confermano la consistente presenza di apprestamenti
idraulici); di strutture realizzate nell’Ambiente XIII,
con muretti laterizi e piano di cocciopesto; di dolia defossa nei pavimenti.
Non deve sorprendere la presenza di simili impianti
artigianali 6 in una sede associativa di una corporazione
a carattere cultuale come i dendrofori. Va detto infatti che
PALAZZO, PAVOLINI 2013.
Ibidem, pianta a p. 12.
3
Fase 2. Prescindiamo qui dalla Fase 1, databile con probabilità
all’epoca giulio-claudia e nella quale si ipotizza l’esistenza di una
prima schola dei dendrofori (v. ibidem, pp. 52-57, 431-35).
4
Per le sicure prove in tal senso, v. ibidem, pp. 20-27, 57-67,
443-54 (e passim).
5
Ibidem, pp. 67-72, 475-77. Può sembrare strano che in un convegno dedicato ai secoli V-XV noi prendiamo le mosse da testimonianze che risalgono al III, ma era difficile evitarlo: come vedremo,
infatti, le attestazioni di attività manifatturiere nel nostro edificio risultano cronologicamente scaglionate – sia pure con alcune interruzioni, o lacune di evidenza – dalla fase in esame fino alla metà
del V secolo almeno, e ciò anche per quel che riguarda i beni prodotti, o parte di essi.
6
Dei quali, per questa fase, non siamo in grado di individuare i
prodotti, per l’inesistenza – o la difficoltà di individuazione – di quei
reperti di natura ‘tecnologica’ che permetteranno invece di farsi un quadro abbastanza preciso delle lavorazioni databili nelle fasi 4 e 5 (infra).
E la cosa si spiega, perché le installazioni della Fase 3 furono oggetto
di spoliazioni (descritte subito sotto); in ogni caso non sembrano es-
1
2
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M.E. CALABRIA, D. FERRO, P. PALAZZO, M. PARENTI, T. PATILLI, C. PAVOLINI, I. A. RAPINESI, L. SAGUÌ
Fig. 1. - Pianta della Basilica Hilariana (Saggio III) e dei rinvenimenti archeologici
circostanti nell’Ospedale Militare Celio (da Palazzo, Pavolini 2013).
questi ultimi avevano conservato il loro
probabile, precedente carattere di collegio
di boscaioli, lavoratori forestali, commercianti del legno 7, etc., anche dopo essere
stati ufficialmente costituiti – dall’imperatore Claudio – in confraternita di addetti al culto di Attis e del pino sacro a
questo dio, momento che sembra anche
aver coinciso con l’assunzione della
nuova denominazione grecizzante di dendrophori 8. Ma, anche al di là delle connotazioni peculiari di tale collegio, sono in
realtà frequenti – in età romana – i casi di
templi e santuari che facevano fronte alle
proprie spese anche mediante le rendite
derivanti da attività economiche (investimenti immobiliari, manifattura, piccolo
commercio, etc.), o gestendole diretta-
Fig. 2. - Basilica Hilariana, pianta della Fase 3 (da Palazzo, Pavolini 2013).
sere documentati, nel perimetro dello scavo, consistenti strati di scarico riferibili all’attività di questa ‘prima ondata’ di officine.
7
Verosimilmente col nome di lignarii (AURIGEMMA 1910).
8
È naturalmente impossibile scendere qui in dettagli, anche a
proposito della complessa problematica storica che fa da sfondo a
questi processi, ma (oltre al classico GRAILLOT 1912, pp. 266-68)
vd. più di recente DIOSONO 2008a, DIOSONO 2008b, pp. 81-83, e PALAZZO, PAVOLINI 2013, pp. 429-31 e nota 47.
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mente, o più spesso affittando a soggetti
‘terzi’ i relativi locali: basti pensare a
Ostia, città per la quale abbiamo sicure
evidenze in merito 9, accanto a ipotesi
meno facilmente dimostrabili, ma comunque interessanti 10.
Nella Fase 4a (verso la metà del III secolo) 11 le attività nei vani sud-est proseguono, ma in tale periodo sono
documentati solo interventi di momentanea spoliazione (ci sono fosse di asportazione dei manufatti preesistenti), ai fini
di una qualche ristrutturazione degli impianti artigianali. Questa, infatti, si verifica senza soluzione di continuità, a
cominciare da nuovi livellamenti della
quota di calpestio, databili nel corso della Fig. 3. - Basilica Hilariana, Fase 3, Amb. XIII. Resti di struttura con muretti laterizi e
piano di cocciopesto (da Palazzo, Pavolini 2013).
stessa fase.
Nella Fase 4b, databile con probabici interessa, ma a monte c’è un decisivo evento che ci
lità – limitatamente alle Attività che ci interessano – entro
è possibile solo ricordare di sfuggita: la costituzione imla seconda metà del III secolo (figg. 4-5 e tav. XXI) 12,
periale del 415, con cui Onorio requisisce i beni dei densi ha, negli stessi settori sud-orientali del pianterreno,
drofori (e di altri organismi cultuali pagani). Al di là
quella che potremmo chiamare una ‘seconda ondata’ di
delle rilevanti implicazioni storiche del provvediimpianti a carattere manifatturiero. Sono attestate ad
mento 15, ciò vuol dire che da questo momento in poi
esempio nuove vasche rivestite di cocciopesto idraulico
la Basilica Hilariana non è certamente più tale: in altre
(nell’ex-corridoio XI, che ormai va definito così, perparole, non è più la sede dei dendrophori intesi come
ché non è ovviamente più percorribile come spazio di
collegio religioso, né è più un luogo nel quale fosse perdisimpegno), mentre nell’Ambiente XIV sono attestati
messo svolgere riti in onore di Cibele e Attis.
livelli con tracce di combustione e di lavorazione e una
L’editto onoriano prevede un trasferimento degli impiccola fornace in una fossa (US 5237), a sua volta rimobili delle confraternite disciolte al demanio imperiale:
cavata entro una precedente vasca. È questa la prima
possiamo solo vagamente immaginare che – nel caso spedelle fasi per le quali disponiamo anche di dati di lacifico – a questo atto abbia fatto seguito una locazione
boratorio riguardo ai materiali che venivano prodotti 13.
di parte degli spazi a nuovi soggetti privati 16, ma non abVa tenuto ben presente che, in base a tutti gli elementi
biamo alcuna prova di ciò, né di chi potesse trattarsi, né
a noi noti, in tale periodo l’edificio è ancora saldamente
delle modalità giuridiche concrete di tale eventuale affiin mano ai dendrofori come loro schola di riunione e
damento. La sola cosa sicura è che le trasformazioni che
di culto (e, per inciso, tale situazione non sembra camriscontriamo in questa fase nell’edificio furono operate
biare fino alla fine del IV secolo, se non fino agli inizi
– ancora una volta – per finalità manifatturiere, ma in un
del V).
quadro profondamente diverso dal passato.
In seguito, però, le cose mutano radicalmente. La
In sintesi, si verifica una sorta di inversione delle deFase 5, ben databile nei decenni centrali del V secolo 14,
stinazioni d’uso, per la quale alcuni vani dell’ala sud
mostra infatti nuovi sviluppi dal punto di vista che qui
Cfr., per fare un solo esempio, il caso dell’edificio di culto degli
stuppatores (HERMANSEN 1982).
10
MAR 1996.
11
PALAZZO, PAVOLINI 2013, pp. 73-75, e – sulla Fase 4 nel suo
insieme (4a e 4b), con le connesse realtà di natura manifatturiera –
pp. 478-484.
12
PALAZZO, PAVOLINI 2013, pp. 76-82.
9
13
Vd. infra la sezione del presente contributo che si deve a Daniela Ferro e Ida Anna Rapinesi.
14
PALAZZO, PAVOLINI 2013, pp. 89-94, 484-86.
15
Ibidem, pp. 486-89.
16
L’ipotesi che si trattasse sempre dei dendrofori, ma ora come
mera corporazione di mestiere (e non più anche religiosa), è possibile, ma molto incerta e non dimostrabile: viene più ampiamente
discussa ibidem, pp. 488 s.
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M.E. CALABRIA, D. FERRO, P. PALAZZO, M. PARENTI, T. PATILLI, C. PAVOLINI, I. A. RAPINESI, L. SAGUÌ
Fig. 4. - Basilica Hilariana, pianta della Fase 4b (da Palazzo, Pavolini 2013).
(già probabili salette di rappresentanza del collegio) 17
diventano ora sedi di piccole installazioni artigianali:
per riprendere la metafora già utilizzata nei capoversi
che precedono, potremmo chiamarla la ‘terza (e ultima)
17
Erano state create nella Fase 3 (cfr. ibidem, pp. 67-70, 476 s.),
come risultato del frazionamento dello spazio unico – scandito da
pilastri – che nell’impianto originario della Basilica (Fase 2) aveva
costituito una probabile aula o ‘loggia’ di riunione dei dendrofori.
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PRODUZIONI ARTIGIANALI NELLA BASILICA HILARIANA SUL CELIO
ondata’ degli interventi edilizi a carattere manifatturiero (fig. 6 e tav. XII). Abbiamo ad esempio, nell’Ambiente VII, la probabile impronta di un forno
circolare (fig. 7) e i resti di una vasca con rivestimento
idraulico, che venne realizzata sopra le pavimentazioni
musive precedenti; nell’Ambiente IX, l’impronta di
un’altra vasca che poi, in una fase ancora successiva,
verrà rimossa, e inoltre – nei diversi spazi – lacerti di
cocciopesto, piani di lavorazione con residui di calce.
Viceversa, quei vani del settore sud-orientale – già
locali di servizio – che a partire dal III secolo erano stati
adibiti a scopi manifatturieri, come sappiamo, diventano
ora spazi di scarico e di sgombero dei rifiuti e degli scarti
delle officine appena descritte.
Anche per questa Fase 5, come per la precedente,
disponiamo di alcuni dati sugli ‘indicatori di produzione’
(stavolta nel senso dei reperti mobili), dati desumibili
dalle analisi di laboratorio condotte da Ferro e Rapinesi
e dalle osservazioni di M. Parenti e L. Saguì 18.
18
Su tutto questo cfr., infra, i contributi delle autrici citate, ma
anche le brevi considerazioni esposte subito sotto, alla fine della
presente introduzione.
Fig. 5. - Basilica Hilariana, Fase 4b, Amb. XIV. Fornace ricavata
all’interno di una vasca preesistente (da Palazzo, Pavolini 2013).
Fig. 6. - Basilica Hilariana, pianta della Fase 5 (da Palazzo, Pavolini 2013).
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essa, poiché il pozzo di scarico citato è l’unica attestazione stratigrafica individuata dallo scavo
entro il perimetro dell’edificio.
Questo discorso vale, del resto,
anche per il rimanente materiale
ceramico della fossa 5334 (sicuramente non di scarto), brevemente descritto nello stesso
contributo. Sia per l’ipotetica zona
di produzione, sia per l’insediamento nel quale venivano comunque utilizzati i vasi di IX-XI
secolo da noi rinvenuti, si potrebbe pensare all’esistenza di ridotte comunità raccolte intorno
alle grandi fondazioni cristiane –
ecclesiali e monastiche – sorte nel
frattempo in questo settore del
Fig. 7. - Basilica Hilariana, Fase 5, Amb. VII. Impronta di probabile forno circolare entro un
Celio, e in tal caso la direzione più
piano pavimentale preesistente (da Palazzo, Pavolini 2013).
probabile verso la quale rivolgersi
Non ci occuperemo qui nel dettaglio della Fase 6 e di
sembra quella dei non lontani SS. Quattro Coronati 22.
quelle successive 19, con le quali la lunga vicenda produttiva
Si tratta però di supposizioni per ora molto incerte.
che abbiamo finora seguito giunge ad un termine, e nel
Facendo un passo indietro, e tornando al periodo
pianterreno della ex Basilica non c’è più nessuna traccia
compreso fra la seconda metà del III e il pieno V sedi impianti del genere. Infatti le fasi citate comprendono
colo, se ci basiamo sui contributi di D. Ferro e I. Rascarichi e interri che si formano entro la seconda metà del
pinesi, di M. Parenti e di L. Saguì 23 possiamo ipotizzare
VI secolo, alcuni ultimi interventi edilizi eseguiti con tecche almeno alcune produzioni si siano svolte nel nostro
niche molto rudimentali e finalizzati alla precaria rioccuedificio in un quadro di continuità, o che – se momenpazione abitativa di parte degli spazi, isolati episodi di
taneamente interrotte – siano state poi riprese, nonostante
seppellimento e – come esito finale – il crollo delle muil probabile variare nel tempo dei soggetti che erano adrature dell’edificio, agli inizi del VII secolo.
detti a tali lavorazioni.
Un’ultima manifestazione di vita e forse di attività
Questo si nota seguendo l’ordine cronologico delle
artigianale, sporadica e isolata, si avrà poi con il pozzo
fasi, in modo ‘trasversale’ rispetto alle classi dei matedi scarico contenente ceramica del IX-XI secolo (Fase
riali rinvenuti. Nella Fase 4a, allorché sappiamo che sono
9) 20. Le autrici citate avanzano in forma dubitativa
documentati – riguardo alla stratigrafia ‘orizzontale’ –
l’ipotesi che – nell’ambito di questo rinvenimento – alquasi solo interri per livellamenti, non abbiamo molte
cuni reperti possano essere considerati scarti di lavoratestimonianze di natura ‘tecnologica’. Quanto ai vetri 24
21
zione , e aggiungono che l’area dove si svolgevano tali
c’è molto poco, e anche di interpretazione incerta, meneventuali processi produttivi non può essere al motre un’eccezione è rappresentata dagli aghi crinali, dei
mento identificata. Essa doveva semmai trovarsi nei
quali si ipotizza una lavorazione nei vani ex di servizio
pressi della ex Basilica Hilariana, ma esternamente ad
del settore sud-est della Basilica 25. Dalle tabelle e dagli
PALAZZO, PAVOLINI 2013, pp. 121-160, 489-92.
20
Ibidem, pp. 160-165 (si tratta dell’Attività 28, costituita dalla
fossa US 5334 e dal suo riempimento, US 5335). Il materiale è stato
esaminato da M. E. Calabria e T. Patilli per cui vd. infra.
21
Per le motivazioni, infra.
22
Su tutto questo cfr., un po’ più ampiamente, PALAZZO, PAVOLINI 2013, p. 504.
23
Cfr. infra.
19
Vd. infra il contributo di Lucia Saguì.
Vd. infra per le motivazioni dell’ipotesi (che si estende anche
ad altri manufatti in osso o in avorio quali gli elementi rettangolari
per possibili cornicette: cfr. PALAZZO, PAVOLINI, fig. 11). Alle considerazioni ivi esposte va aggiunto l’alto numero globale degli esemplari rinvenuti (ben 189), difficilmente spiegabile se non pensando
ad una fabbricazione in loco, visto che si tratta di oggetti per la cosmesi femminile e che il contesto dello scavo non rinvia ad un complesso abitativo.
24
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istogrammi inseriti nel contributo di Marina Parenti si
desume, infatti, che un numero consistente di spilloni
in osso è stato rinvenuto nei livelli della Fase 4a: non
è escluso che tali reperti vadano interpretati come residui delle prime installazioni artigianali, appartenenti
alla Fase 3, installazioni che sembrano invece assenti
nella Fase 4a 26.
Gli indicatori di produzione si infittiscono in modo
molto rilevante quando si passa alla Fase 4b (seconda
metà del III secolo), e ciò appare logico, poiché si
tratta del periodo al quale risale la ‘seconda ondata’
degli impianti artigianali 27. Ad un’attestazione di aghi
crinali numericamente molto maggiore di quella della
fase precedente 28 si aggiungono la maggior parte dei
reperti ‘tecnologici’ studiati da Daniela Ferro e Ida
Anna Rapinesi. Stratigraficamente essi appaiono concentrati, esclusivamente o quasi, nell’Attività 14, topograficamente negli ambienti XIII e XIV del settore
sud-orientale del pianterreno, e rinviano ad attività metallurgiche (crogioli, scorie, residui di processi fusori,
etc.) e alla produzione di coloranti e pigmenti, da usare
sia in pittura 29, sia nei procedimenti di fabbricazione
del vetro 30.
Nella Fase 5, risalente alla metà del V secolo, gli indicatori di produzione non scompaiono certo (siamo in
corrispondenza della citata ‘terza ondata’ degli impianti
manifatturieri): essi sembrano però diminuire quantitativamente, anche in misura notevole. Le campionature
dovute a Daniela Ferro e Ida Anna Rapinesi annove-
rano, per questo periodo, ancora tracce della lavorazione
dei coloranti, ma per il resto quasi solo frammenti di
lastre di colore verde, caratterizzate da elementi tipici
della composizione di masse di natura vetrosa (Ambiente
XII, Attività 18). Peraltro Lucia Saguì, inquadrando con
opportuna prudenza 31 le informazioni relative alla produzione di vetri nel nostro edificio e nei suoi dintorni
(una circostanza che, da molti indizi convergenti, appare comunque probabile), per la Fase 5 si concentra
soprattutto sulla grande quantità di tessere vitree di mosaico qui rinvenute, sviluppando un’interessante ipotesi
di connessione con la coeva costruzione della vicina basilica di S. Stefano Rotondo.
Stando così le cose, l’altra attività che con forte
verosimiglianza sembra proseguire nel V secolo è
quella della produzione di aghi crinali in osso 32: il
buon numero di esemplari attestati fa pensare che si
tratti di manufatti ‘in fase’ e non di residui 33, e che
alcuni tipi di spilloni venissero tuttora fabbricati nella
ex Basilica.
Con tutte le cautele del caso, si può concludere – come
del resto già accennato, ma ora con maggior cognizione
di causa – in favore di una continuità o di una ripresa di
almeno alcune produzioni, che sembrano documentate sia
nelle fasi in cui la Basilica era ancora la schola collegiale
dei dendrofori, sia nel periodo in cui i beni di questi ultimi erano stati requisiti e la destinazione d’uso dell’immobile era cambiata.
(P.P., C.P.)
Su tutto questo, vd. supra.
Cfr. supra.
28
È utile, a questo punto, rinviare al grafico 1 che correda il testo
di M. Parenti. L’istogramma deriva da una rielaborazione dei dati
forniti dall’autrice e prende in considerazione solo i tipi di aghi che,
in almeno una delle fasi, risultavano rappresentati da più di due esemplari. Un primo esito dell’esperimento è forse scontato: i tipi maggiormente presenti sono quelli di più semplice e standardizzata
lavorazione, cioè quelli a testa rotonda o ovoidale. Meno ovvio un
altro dato: la variante tipologica più attestata in assoluto, a testa ovoidale piccola e bassa (Tipo 8), è proprio quella i cui esemplari apparivano – in parecchi casi – non perfettamente levigati e con la
testa intagliata in modo grezzo (cfr. anche Parenti in PALAZZO, PAVOLINI 2013, p. 294). Si tratta di una morfologia molto diffusa in
generale, spesso prescelta – per la sua semplicità – da artigiani non
specializzati e probabilmente prodotta a livello locale, come è quasi
certo nel nostro caso.
29
Viene da chiedersi se simili sostanze fossero utilizzate anche
nel corso delle ristrutturazioni edilizie che a più riprese coinvolsero
la Basilica stessa, e che certamente compresero decorazioni o ridecorazioni pittoriche (ve ne furono, in particolare, proprio nella Fase
4b in esame: cfr. ibidem, p. 76). La cosa è probabile, ma è anche
verosimile che le sostanze coloranti – così come gli altri manufatti
prodotti nell’edificio – venissero vendute nelle botteghe forse di proprietà dei dendrofori (supra), ad uso degli abitanti del quartiere circostante.
30
Può sorprendere la presenza di artigiani dell’osso e dell’avorio, dei metalli, dei coloranti, forse del vetro, in periodi (le
fasi 3 e 4) nei quali – come sappiamo – la Basilica era saldamente
in mano ai dendrofori, che sul versante ‘professionale’ erano semmai degli specialisti del legno. E non hanno nulla a che fare con
questo discorso i numerosi frammenti di legno, combusti o meno,
rivelati dalle analisi di laboratorio (vd. Ferro e Rapinesi, infra),
perché l’uso del fuoco era necessario nel corso di tutte le lavorazioni citate. La spiegazione è un’altra, e ci rimanda all’’alleanza’,
ben nota dalle fonti, fra i dendrofori e altri organismi collegiali,
anche a carattere artigianale (questione più ampiamente trattata PALAZZO, PAVOLINI 2013, pp. 481-84), o forse – più semplicemente
– al fatto che i locali ex di servizio della Basilica potevano venir
concessi in affitto ad altri e autonomi soggetti, come già accennato.
31
E riprendendo – e in alcuni casi discutendo – i dati e le conclusioni edite da Maria Adamo (ibidem, pp. 83-86, 111-17, 142-44,
248 s.), della quale non è stato possibile includere un contributo nei
presenti Atti.
32
Cfr. infra (Parenti), con particolare riguardo alle tabelle e al
grafico 1.
33
Il che invece è praticamente certo per i pochissimi aghi documentati nella Fase 6, allorché, come si è già detto, l’edificio era in
corso di dismissione e di spoliazione e non era più sede di officine
artigianali.
26
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M.E. CALABRIA, D. FERRO, P. PALAZZO, M. PARENTI, T. PATILLI, C. PAVOLINI, I. A. RAPINESI, L. SAGUÌ
Produzioni manifatturiere negli ambienti di servizio
della Basilica Hilariana
Il rinvenimento negli ambienti di servizio basilicali,
denominati XII, XIII e XIV, di vasche in cocciopesto
e di un piano di lavorazione con tracce di combustione
ha dato luogo ad una indagine conoscitiva, destinata a
caratterizzare i diversi materiali messi in luce e porli
in relazione alle attività produttive. Durante la prima
fase del lavoro è stata eseguita direttamente sul deposito archeologico, all’interno di tutti e tre gli ambienti,
una campionatura dei materiali oggetto dell’indagine,
da cui sono stati selezionati quarantasei prelievi, perlopiù provenienti dall’Ambiente XIV. In esso sono state
differenziate alcune aree per la localizzazione dei prelievi, identificate con le lettere A, B, C, D, E, F, G (fig.
8).
Secondo il criterio di campionamento adottato, sono
state prelevate sostanze sia dai sedimenti che per colore e morfologia presentavano caratteristiche nettamente differenti dalla terra di scavo, sia dai reperti
mobili rinvenuti in questi ambienti, successivamente rimossi e conservati presso il deposito provvisorio all’interno dell’Ospedale Militare Celio, denominato
Antiquarium nelle tabelle che seguono. Tutte le sostanze
prelevate sono state preliminarmente osservate al microscopio ottico, per effettuare una ulteriore microcampionatura in base alla omogeneità dei materiali
componenti e quindi individuare le tecniche specifiche
di analisi a cui sottoporle.
L’utilizzo di tecniche analitiche basate su differenti
metodi ha permesso di fare confronti e/o integrazioni
per la definizione della composizione dei singoli materiali, evidenziando così un ottimo accordo tra dati ricavati da strumentazioni differenti:
- analisi diffrattometrica ai raggi X di polveri per campioni microcristallini (XRD)
- microscopia a scansione elettronica (SEM) per l’evidenziazione delle caratteristiche morfologiche
- microanalisi elettronica a dispersione di energia, per
analisi qualitativa e quantitativa degli elementi (EDS).
Le molteplici attività produttive praticate sono state
individuate mediante i risultati analitici e articolate nei
diversi ambienti.
Ambiente XII
In questo ambiente, nella Fase 5, Attività 18, US
5021, nell’area denominata α in fig. 8 sono state os-
Fig. 8. - Basilica Hilariana. Pianta degli Ambienti XII, XII, XIV,
con localizzazione dei prelievi.
servate le maggiori concentrazioni di parti vetrose, oltre
a recipienti fittili in diverso stato di conservazione contenenti residui di sostanze (tab. 1).
Campioni nn. 1, 2, 3: i residui prelevati all’interno
di recipienti fittili – due pareti di anfore non meglio specificabili e uno spatheion – sono costituiti da sostanze
di natura cristallina quali quarzo, calcite, analcime,
diopside, muscovite, con le quali si ipotizza venisse preparato una sorta di composto base per la preparazione
di colori; nello specifico, la calcite era usata come componente per l’impasto e il quarzo per conferire ad esso
brillantezza.
Campione n. 26: frammenti di lastre di colore verde,
molto decoese, caratterizzate alla microsonda dalla presenza di elementi quali silicio, calcio, alluminio, manganese, sodio, potassio, tipici della composizione delle
masse di natura vetrosa, dato quest’ultimo confermato
dall’assenza di esiti all’analisi XRD, propria di sostanze
di natura amorfa.
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DESCRIZIONE
CAMPIONI
AMBIENTE
PRELIEVO
PRELEVATI
CONTENUTO
1
COMPOSIZIONI MEDIE
CARATTERIZZAZIONE
Micronalisi EDS in ossidi
SPECIE MINERALOGICHE
(% in peso)
Diffrazione X (*)
Qz, Ca, An. Diop. Musc.
XII
Antiquarium
SPATHEION
2
CONTENUTO ANFORA
XII
Antiquarium
Qz, Ca, An. Diop. Musc.
3
CONTENUTO ANFORA
XII
Antiquarium
Qz, Ca, An. Diop. Musc.
SiO2 (77), Al2O3 (12),
26
LASTRA VERDE
XII
MgO(1.5), FeO
Antiquarium
(0.7),CaO (5), Na2O (2),
K2O (1.8)
(*) Legenda: An = analcime; Ap: apatite; Ca = calcite; Diop = Diopside; Feld = feldspati; Hem: ematite; Il l= illite; Leu =
leucocite; Musc = muscovite; Qz = quarzo
Tabella 1
Ambiente XIII
In questo ambiente, nella Fase 4b, Attività 14, US
5054, nell’area denominata β in fig. 8 sono stati individuati reperti con superficie porosa e evidenti esiti di
sbollitura, identificati alle analisi come scorie metalliche (campione n. 4, fig. 9), parti di crogiolo con scorie
(n. 5), tondelli metallici (n. 6), tutti con tracce residue
di processi fusori di leghe a base di rame, con la presenza di ossidi e cristallizzazioni caratteristiche (tab. 2).
La testimonianza di una attività che includeva processi
termici è data dal ritrovamento di residui carboniosi nei
campioni n. 8, n. 9 e n. 10, ancora presenti sulle pareti
interne di recipienti fittili, mentre il campione n. 11 si
riferisce ad un materiale ceramico.
Fig. 9. - Basilica Hilariana, Ambiente XIII: scoria metallica da fusione (in tabella, campione n. 4).
Ambiente XIV
Sono stati trovati qui reperti fittili di diversa dimensione e forma contenenti terre lavorate, mentre altri, con
il fondo arrotondato tipico dei crogioli, mostrano ancora
segni di processi fusori per metalli. Infine alcuni materiali eterogenei sono stati rinvenuti nella Fase 4b, Attività
14, US 5234, soprattutto nell’area denominata A: vetri,
ossa di animali, legni combusti e piccoli oggetti finiti in
osso, quali aghi crinali, pedine, dadi da gioco 34.
Nell’area di campionatura δ della zona D, Attività 14,
US 5234, sono stati prelevati da frammenti di ceramica
alcuni depositi (campioni nn. 16-18, fig. 10; tab. 3), risultati essere composti soprattutto da ossidi di vari elementi, quali silicio, ferro, manganese, rame, alluminio,
calcio e potassio; la loro composizione e struttura può es-
34
V. infra, in questi stessi Atti, il contributo di M. Parenti.
Fig. 10. - Basilica Hilariana, Ambiente XIV: fondo di recipiente
fittile con deposito di terre colorate e sostanze vetrificate (in tabella,
campione n. 18).
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DESCRIZIONE
CAMPIONI
PRELEVATI
PRELIEVO
COMPOSIZIONI MEDIE
Micronalisi EDS in ossidi
(% in peso)
XIII
Antiquarium
verde: CuO (68), SiO2 (20),
Al2O3 (7), CaO (5)
marrone: CuO (53), SiO2 (27),
Al2O3 (7), CaO (13)
XIII
Antiquarium
verde: CuO (84.8), SiO2 (15.2);
marrone: CuO (13), SiO2 (67), SnO2 (20)
DUE TONDELLI
METALLICI
XIII
Antiquarium
verde: CuO (50), SiO2 (6),
CaO (10), P2O5 (34)
marrone: CuO (42.3), PbO (57.7)
MATERIALE
INTERNO
GRANDI
CONTENITORI
XIII
Antiquarium
FRAMMENTO
FITTILE
XIII
Antiquarium
Carbone
9
FRAMMENTO
FITTILE
XIII
Antiquarium
Carbone
XIII
Antiquarium
Carbone
10
PRELIEVO DA
FRAMMENTO
FITTILE A
FORMA
TRAPEZOIDALE
11
PICCOLE MASSE
NERE
XIII
Antiquarium
4
SCORIE
5
PARTI DI
CROGIOLO CON
SCORIE
6
7
8
AMBIENTE
RESIDUI
ORGANICI
CARATTERIZZAZIONE
SPECIE
MINERALOGICHE
Diffrazione X
Qz, Ca, Feld. CuO, An,
SnO2
Qz, Ca, An, SnO2, Ap,
Carbonati .Pl, Diop.
(*) Legenda: An = analcime; Ap: apatite; Ca = calcite; Diop = Diopside; Feld = feldspati; Hem: ematite; Il l= illite; Leu = leucocite; Musc =
muscovite; Qz = quarzo
Tabella 2
DESCRIZIONE
CAMPIONI
PRELEVATI
AMBIENTE
PRELIEVO
16
RESIDUI PRELEVATI
DA FONDO REPERTO
FITTILE
XIV
D
verde: SiO2 50, CuO 32, CaO 14; Al2O3 4
marrone: SiO2 64, CuO 11 Al2O3 11, Na2O 9, MgO 5
17
RESIDUO PRELEVATO
DA FRAMMENTO DI
MANICO FITTILE
XIV
D
SiO2 37.45, Al2O3 10.47, FeO 7.89, Mg O 2.39,
CaO 12.99, Na2O 0.37, K2O 0.64, CuO 17.32 PbO 8.00
18
FRAMMENTO FITTILE
CON TRACCE
VETRIFICATE
XIV
D
COMPOSIZIONI MEDIE
Micronalisi EDS in ossidi
(% in peso)
chiara: SiO2 60.81,Al2O3 13.09, FeO 5.97, MgO 2.76, CaO 8.60, Na2O 3.42,
K2O 1.94, CuO 1.55, PbO 1.88
scura: SiO2 = 53.85, Al2O3 12.30, FeO 4.42, MgO 3.14, CaO 19.02, Na2O
2.63, K2O 1.30, CuO 1.47, PbO 1.54
(*) Legenda:
Tabella
3 An = analcime; Ap: apatite; Ca = calcite; Diop = Diopside; Feld = feldspati; Hem: ematite;
Ill = illite; Leu = leucocite; Musc = muscovite; Qz = quarzo.
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PRODUZIONI ARTIGIANALI NELLA BASILICA HILARIANA SUL CELIO FRA TARDA ANTICHITÀ E ALTO MEDIOEVO
DESCRIZIONE
CAMPIONI
PRELEVATI
COMPOSIZIONI
MEDIE
Micronalisi EDS
in ossidi
(% in peso)
CARATTERIZZAZIONE
SPECIE MINERALOGICHE
Diffrazione X
AMBIENTE
PRELIEVO
XIV
In situ,
area E
Carboni
di legno
In situ,
area E
Carboni
di legno
19
CARBONCINI +
TERRA COLORE
VERDASTRO
20
FRAMMENTI
LIGNEI
21
FRAMMENTI
COMBUSTI CON
COLORAZIONE
VERDE
XIV
In situ,
area E
Carboni
di legno
22
FRAMMENTI
COMBUSTI
XIV
In situ,
area E
Carboni
di legno
23
FIBRE
XIV
Antiquarium
31
FRAMMENTI
LIGNEI CON
DEPOSITO DI
COLORE VERDE
BRILLANTE
XIV
In situ,
area E
32
FIBRE COLORE
VERDE CHIARO
XIV
In situ,
area E
FIBRE DI
COLORE BRUNO
XIV
In situ,
area E
CaO (33) CuO
(20), P2O5(40),
FeO(7)
Fibre legnose
incombuste
FRAMMENTI
FITTILI CON
RESTI VEGETALI
E FIBROSI
XIV
In situ,
area E
CaO (70), P2O5
(23) FeO (7)
Fibre legnose
incombuste
36
37
XIV
CuO (48), CaO
(32), P2O5 (20)
183
Qz, Ca, Feld.
Fibre legnose
incombuste
Fibre legnose
incombuste
Tabella 4
sere riferibile a coloranti misti a sostanze vetrose, ossia
pigmenti per l’uso sia in pittura che nella produzione vetraria.
Inoltre in questo ambiente, nella zona identificata
con E, sono molto abbondanti nell’area di campionamento ε residui di combustione, come carboni di legno
(tab. 4). All’interno di questa area si trovava anche un
pozzetto (US 5237, Attività 14, Fase 4b), ove sono stati
rinvenuti resti vegetali (nn. 36, 37) ed una consistente
quantità di depositi di colore verde (n. 31), risultati essere costituiti da composti del rame, impiegati probabilmente come coloranti.
Sempre da quest’area, inoltre, provengono modeste quantità di residui di terre colorate, che alla os-
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184
M.E. CALABRIA, D. FERRO, P. PALAZZO, M. PARENTI, T. PATILLI, C. PAVOLINI, I. A. RAPINESI, L. SAGUÌ
servazione al SEM-EDS si presentano omogenei per
composizione e granulometria, caratteristiche che rimandano ad un processo di lavorazione per macinazione. Si tratta dei materiali campionati con i nn. 24
e 34, costituiti da ossido di ferro (giallo-rosso), e n.
38, da ossido di manganese (bruno).
Particolare infine è il rinvenimento di notevoli
quantità di valve di ostriche, probabilmente destinate
alla macinazione e alla miscelazione con pigmenti, per
aumentarne la brillantezza.
Si può presumere quindi che all’interno dello stesso
ambiente si potessero produrre autonomamente sostanze con funzione di coloranti.
Nel settore denominato F, infine, è stato individuato
un piano di focolare (US 5239, Fase 4b, Attività 14)
sul quale si era compattata una massa costituita da
quarzo, calcio, silicati e fosfati (campioni nn. 43, 45).
In base ai risultati descritti è possibile formulare
l’ipotesi che all’interno dei tre ambienti, nel corso
della loro occupazione (e in particolare nelle Fasi 4 e
5) fossero esercitate attività di officine, attinenti a
varie produzioni: preparazioni di materiali coloranti,
lavorazioni di masse a base vetrosa, fusione di metalli,
testimoniata quest’ultima dalla presenza di frammenti
fittili probabilmente impiegati come crogioli, associati
a residui di fusione e ad una quantità relativamente
grande di scorie di bronzo 35. Infine il ritrovamento 36
di una notevole quantità di aghi crinali in osso e di un
piccolo numero di pedine e di dadi rimanderebbe alla
produzione di un laboratorio per la lavorazione di materiali in osso.
Sempre dall’Ambiente XIV, zona E, proviene un
campione, identificato con il n. 38, di cui si presenta
il procedimento analitico adottato per il riconoscimento degli elementi presenti in microaree. Si possono
distinguere dei corpuscoli più chiari di ossido di
piombo nella matrice dei composti del rame. Gli ossidi di rame possono essere introdotti nel vetro fuso
come qualsiasi composto mineralogico, anche se gli
ossidi e i carbonati sono i più usuali in condizioni ossidanti: gli ossidi di rame colorano il vetro di blu/verde,
a seconda di quali altri modificatori di reticolo siano
presenti. Con l’ossido di piombo, l’ossido di rame im-
Si tratta delle scorie descritte supra, Ambiente XIII, p. 181.
36
Vd. il citato contributo di M. Parenti.
37
Sono state utilizzate essenzialmente le suddivisioni proposte
da Béal e dalla Bianchi. Il presente contributo è una rielaborazione
della ricerca già edita dalla scrivente in PALAZZO, PAVOLINI 2013,
pp. 289-295.
35
partisce al vetro una colorazione verde, con sodio o
potassio il colore sarà blu.
(D.F., I.A.R.)
Attività artigianali nel settore meridionale della Basilica Hilariana: gli spilloni in osso e avorio
Negli scavi eseguiti nel settore meridionale della
Basilica Hilariana (1997-1998) sono stati rinvenuti numerosi aghi crinali in osso e avorio (circa 189), dei quali
meno della metà risulta perfettamente conservato: per
il resto si tratta di aghi frammentari, alcuni ancora grezzi
e con tracce di combustione.
Lo studio tipologico di questi spilloni 37 è stato svolto
in modo complementare alla loro contestualizzazione
stratigrafica: sono stati, infatti, analizzati e utilizzati i
lavori sulla stratigrafia e lo studio di tutti gli altri materiali rinvenuti nello scavo 38.
Negli stessi contesti sono stati ritrovati anche altri
sporadici oggetti in osso, tra i quali cucchiaini, spatoline, manici ed elementi decorativi come 4 bacchette scanalate, a sezione quadrangolare, forse elementi non
finiti per piccole cornici (fig. 11). Tutti questi oggetti
risultano di particolare interesse nell’ipotesi che, nel citato settore della Basilica, esistessero ambienti nei quali
venivano prodotti questo tipo di manufatti.
Contestualizzazione stratigrafica
Un discreto numero di spilloni (circa 52) sono stati
rinvenuti negli strati che obliterarono il vano di accesso
al praefurnium (Ambiente VI), e che testimoniano di
un livellamento dei piani di calpestio e di una diversa
destinazione d’uso di alcuni ambienti della parte sud
della Basilica (Fase 4a) 39.
Ad un periodo immediatamente successivo sono
ascrivibili il maggior numero di spilloni (circa 130), rinvenuti negli ambienti XIII e XIV (settore sud-orientale),
negli strati che testimoniano di nuove attività produttive 40. Ciò si può dedurre dallo studio dei materiali ritrovati negli strati di interro che segnarono il definitivo
abbandono dei suddetti ambienti.
Infine, alla seconda metà del VI secolo 41 sono attriPALAZZO, PAVOLIN I 2013, passim.
Cfr. ibidem, p. 75 e nota 84 (metà III secolo), e in questi stessi
Atti, supra, il contributo di P. Palazzo e C. Pavolini.
40
Cfr. supra: Fasi 4b e 5, seconda metà del III-metà del V secolo.
41
Cfr. supra: Fase 6.
38
39
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PRODUZIONI ARTIGIANALI NELLA BASILICA HILARIANA SUL CELIO FRA TARDA ANTICHITÀ E ALTO MEDIOEVO
185
Fig. 13. - Aghi crinali, tipi 6 e 13.
Fig. 11. - Sopra, elementi in osso per possibili cornicette; sotto, aghi
crinali frammentari e (a destra) manico frammentario in osso.
buibili un esiguo numero di spilloni (circa 19), rinvenuti nell’Ambiente X: essi attesterebbero ancora l’esistenza di attività produttive, che fin dalla Fase 5 erano
state, però, spostate nei vani centrali della metà meridionale della Basilica.
Tipologia
Dai confronti tipologici si deduce che la maggior
parte degli spilloni rinvenuti appartiene al tipo con testa ovoidale (Tipo Béal A XX, 8), che è presente in
numerose varianti: quella maggiormente attestata presenta la sommità piccola e bassa (fig. 12) 42: si tratta
di aghi molto diffusi, semplici da realizzare, anche da
artigiani poco specializzati. Discreto è anche il numero di quelli con alta testa ovoidale e sommità appuntita (‘a oliva allungata’) o solo lievemente appuntita
(fig. 13) 43; numericamente più esigui gli esemplari
con testa ovoidale e sommità piatta 44 e quelli tipo II/1
di Birò 45.
Tra gli spilloni rinvenuti, ve ne sono alcuni a testa
Fig. 12. - Aghi crinali, tipo 8.
42
BIRÒ 1987, p. 181, fig. 17, n. 97: type VII; BIANCHI 1995, nn.
17, 20, 39, pp. 60-61.
43
BÉAL 1987, p. 197, n. 372e; BIANCHI 1995, n.68, p. 64; BIRÒ
1987: type I/1; BIANCHI 1995, nn. 71, 101, p. 59.
44
BÉAL 1987, p. 187, n. 372f; BIRÒ 1987: type V; BIANCHI 1995,
n. 117, p. 66.
45
BIRÒ 1987: type II/1; BIANCHI 1995, n. 74, p. 65.
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186
M.E. CALABRIA, D. FERRO, P. PALAZZO, M. PARENTI, T. PATILLI, C. PAVOLINI, I. A. RAPINESI, L. SAGUÌ
Fig. 14. - Aghi crinali, tipo 4.
Fig. 16. - Aghi crinali, tipo 11.
sferica (tipo Béal A XX, 7; fig. 14), un’altra tipologia
molto diffusa nel mondo romano 46, come anche quelli
a testa conica (fig. 15) 47.
Pochi sono gli esemplari riferibili ad altre tipologie:
due spilloni con testa indistinta dallo stelo (tipo Béal A
XX, 2), nelle due varianti (a e b), con sommità piatta
ed a forma di basso cono 48. Tre sono gli esemplari con
testa cilindrica (fig. 16) 49. Vi sono poi uno spillone con
sommità a forma sferica e tre solchi incisi nella parte
superiore dello stelo (Béal A XX, 13) 50; un esemplare
che potrebbe essere confrontato con gli aghi a testa figurata (Béal A XXI, 8) 51; e infine uno spillone a testa
piriforme e parte superiore dello stelo decorata con tre
solchi ed un collarino 52.
Cronologia
Fig. 15. - Aghi crinali, tipo 5.
Le tipologie degli spilloni (tab. 5; grafici 1-2) rinvenuti nella Basilica Hilariana confermano, in gran
parte, le datazioni che ad esse sono state fin qui attribuite dagli studiosi.
Si tratta di tipologie diffuse soprattutto dalla media
BÉAL 1983, A XX, 7; BIANCHI 1995, nn. 29, 35, p. 56.
BÉAL 1983, pp. 187-188; BIANCHI 1995, n. 70, p. 54.
48
BÉAL 1983, A XX, 2, varianti a e b; BIANCHI 1995, n. 90, p.
49 e n. 33, p. 49.
49
BIANCHI 1995, nn. 76, 102, p. 67; BIRÒ 1987, p. 181, fig. 17,
n. 94: type IV.
BÉAL 1983, p. 202; BIANCHI 1995, n. 32, p. 53.
BÉAL 1983, pp. 228-229; BIANCHI 1995, n. 67, p. 83.
52
BÉAL 1987, pp. 197-198, n. 373; BIANCHI 1995, n. 46, p.68: il
collarino presente in questo esemplare risulta più pronunciato rispetto
a quello in esame, rinvenuto nella Basilica Hilariana.
46
47
50
51
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PRODUZIONI ARTIGIANALI NELLA BASILICA HILARIANA SUL CELIO FRA TARDA ANTICHITÀ E ALTO MEDIOEVO
TIPI
INDIVIDUATI
Spilloni con testa
indistinta dallo stelo
Spilloni con testa
indistinta dallo stelo
(ALICU-NEMES 1982,
tipo c: II secolo d.C.;
BÉAL 1983, A XX, 2,
variante b; BIANCHI
1995, n. 90, p. 49).
(ALICU-NEMES 1982,
tipo b: III secolo d.C.;
BÉAL 1983, A XX, 2,
variante a; BIANCHI
1995, n. 33, p. 49).
(BÉAL 1983, A XX, 13;
BIANCHI 1995, n. 32, p.
53).
I-IV sec. d.C.
I-IV sec. d.C.
I-III/IV sec. d.C.
Fine Iinizi V sec. d.C.
TIPO 2
TIPO 3
TIPO 4
TIPO 1
Spilloni con testa
indistinta dallo stelo, a
forma di calotta sferica
187
Spilloni con testa sferica
(BÉAL 1983, A XX, 7;
BIANCHI 1995, nn. 29,
35, p. 56).
CONTESTI STRATIGRAFICI
Fase 4a, Attività 12
metà III secolo d.C.
Fase 4a, Attività 13
metà III secolo d.C.
Fase 4b, Attività 14 seconda
metà III secolo d.C.
Fase 5, Attività 19
metà V secolo d.C.
TIPI
INDIVIDUATI
1
1
1
1
5
1
6
Spilloni con testa
indistinta dallo stelo
Spilloni con testa
indistinta dallo stelo
(ALICU-NEMES 1982,
tipo c: II secolo d.C.;
BÉAL 1983, A XX, 2,
variante b; BIANCHI
1995, n. 90, p. 49).
(ALICU-NEMES 1982,
tipo b: III secolo d.C.;
BÉAL 1983, A XX, 2,
variante a; BIANCHI
1995, n. 33, p. 49).
(BÉAL 1983, A XX, 13;
BIANCHI 1995, n. 32, p.
53).
I-IV sec. d.C.
I-IV sec. d.C.
I-III/IV sec. d.C.
Fine Iinizi V sec. d.C.
TIPO 2
TIPO 3
TIPO 4
TIPO 1
Spilloni con testa
indistinta dallo stelo, a
forma di calotta sferica
Spilloni con testa sferica
(BÉAL 1983, A XX, 7;
BIANCHI 1995, nn. 29,
35, p. 56).
CONTESTI STRATIGRAFICI
Fase 4a, Attività 12
metà III secolo d.C.
Fase 4a, Attività 13
metà III secolo d.C.
Fase 4b, Attività 14 seconda
metà III secolo d.C.
Fase 5, Attività 19
metà V secolo d.C.
TIPI
INDIVIDUATI
1
1
1
1
5
1
6
Spilloni con testa
indistinta dallo stelo
Spilloni con testa
indistinta dallo stelo
(ALICU-NEMES 1982,
tipo c: II secolo d.C.;
BÉAL 1983, A XX, 2,
variante b; BIANCHI
1995, n. 90, p. 49).
(ALICU-NEMES 1982,
tipo b: III secolo d.C.;
BÉAL 1983, A XX, 2,
variante a; BIANCHI
1995, n. 33, p. 49).
(BÉAL 1983, A XX, 13;
BIANCHI 1995, n. 32, p.
53).
I-IV sec. d.C.
I-IV sec. d.C.
I-III/IV sec. d.C.
Fine Iinizi V sec. d.C.
TIPO 2
TIPO 3
TIPO 4
TIPO 1
Spilloni con testa
indistinta dallo stelo, a
forma di calotta sferica
Spilloni con testa sferica
(BÉAL 1983, A XX, 7;
BIANCHI 1995, nn. 29,
35, p. 56).
CONTESTI STRATIGRAFICI
Fase 4a, Attività 12
metà III secolo d.C.
Fase 4a, Attività 13
metà III secolo d.C.
Fase 4b, Attività 14 seconda
metà III secolo d.C.
Fase 5, Attività 19
metà V secolo d.C.
1
1
1
1
5
1
6
Tabella 5. Contestualizzazione stratigrafica e quantificazione di tutti i tipi
L’archeoLogia deLLa produzione a roma (secoLi V-XV) • isBn 978-88-7228-778-1 - © écoLe Francaise
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188
M.E. CALABRIA, D. FERRO, P. PALAZZO, M. PARENTI, T. PATILLI, C. PAVOLINI, I. A. RAPINESI, L. SAGUÌ
Grafico 1. Contestualizzazione stratigrafica e quantificazione dei tipi maggiormente attestati (rielaborazione di P. Palazzo e C. Pavolini dei dati forniti da M. Parenti).
Grafico 2. Presenze numeriche di tutti i tipi individuati in tutte le fasi stratigrafiche.
alla tarda età imperiale, come i diversi tipi di spilloni a
testa ovoidale (II-IV secolo d.C.): quelli rinvenuti nella
Basilica sono presenti soprattutto in contesti di III-IV
secolo, ma non mancano attestazioni, seppure esigue,
negli strati di abbandono delle attività lavorative impiantate negli ambienti sud-orientali (V secolo d.C.). Di
questa morfologia, l’unico tipo attestato nella Basilica,
quello cosiddetto ‘a oliva allungata’ 53, nella Basilica è
presente anche in contesti della metà del III secolo d.C.,
mentre finora risultava bibliograficamente attestato dal
IV secolo in poi.
53
Cfr. supra.
Gli spilloni a testa sferica costituiscono una tipologia molto diffusa nel mondo romano, attestati dalla fine
del I al V secolo d.C.: nella stratigrafia della Basilica
sono presenti nei grossi strati di scarico di V secolo d.C.
Gli aghi crinali a testa conica sono piuttosto diffusi
a partire dal II secolo d.C., ma attestati soprattutto dal
III-IV secolo: nella stratigrafia della Basilica questi manufatti sono stati rinvenuti in contesti che confermano
tale datazione, ma anche in uno strato di obliterazione
di V secolo.
Gli aghi con testa indistinta dallo stelo sono generalmente attestati in livelli di metà III secolo, ma nella
Basilica è presente anche un residuo in un contesto di
V secolo.
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189
Anche quelli con testa cilindrica, attestati dal III secolo al tardo impero, qui sono presenti in strati di IIIIV secolo e di V secolo.
Infine, gli esemplari del tipo Béal A XXI, 8, datati
al I-V secolo, sono stati rinvenuti in contesti di V secolo; il tipo Béal A XX, 13, diffuso dal I, ma soprattutto attestato dal III-IV secolo, è documentato in uno
strato di metà III secolo; un esemplare di spillone a
testa piriforme e parte superiore dello stelo decorata
da tre solchi e un collarino, riferibile ad un tipo attestato in età tardo imperiale, è qui presente in una US
di V secolo.
(M.P.)
Possibili indicatori di produzione vetraria
La lavorazione del vetro potrebbe inserirsi coerentemente tra le diverse attività produttive documentate
nella Basilica Hilariana nel corso della Fase 4 e, soprattutto, nella fase successiva, che vede la dismissione
dell’edificio come sede collegiale dei dendrofori e luogo
di culto delle divinità anatoliche, contestualmente alla
ristrutturazione e alla più ampia diffusione di attività artigianali.
Una revisione dei materiali considerati nella recente
pubblicazione dello scavo come indicatori di produzione vetraria invita tuttavia alla prudenza.
Per quanto riguarda la Fase 4a, i reperti considerati
significativi in questo senso sono infatti limitati ad ‘una
piccola massa vitrea informe e schiumosa identificabile
molto probabilmente come scoria’ e ad ‘uno scarto di
lavorazione di bottiglia con orlo e ansa deformati e ripiegati su se stessi’ 54. In particolare nel caso del secondo
frammento potrebbe trattarsi semplicemente di un esemplare deformato dal calore.
Maggiore interesse presentano i reperti della Fase
5 (decenni centrali del V secolo), costituiti in assoluta maggioranza da tessere di mosaico. Si tratta infatti di ben 3866 tessere di colori diversi, opache e
traslucide, su un complesso di 4090 frammenti vitrei 55.
In presenza di resti di malta ancora aderenti e di altri
indicatori di produzione si potrebbe pensare a materiale di recupero, da riutilizzare nell’amalgama. È
questa l’ipotesi formulata, ad esempio, nel caso delle
tessere di mosaico rinvenute nei depositi di VII e di
54
55
M. Adamo in PALAZZO, PAVOLINI 2013, p. 84.
M. Adamo, ibidem, p. 113 e p. 117, tabella 1.
Fig. 17. - Basilica Hilariana. Pane di vetro dalla Fase 6 (residuo?).
VIII secolo nell’esedra della Crypta Balbi 56. Sulle tessere vitree in esame non sono stati tuttavia individuati
resti di altra natura, se non quelli di una notevole corrosione, e gli strati di questo periodo non hanno restituito indicatori di produzione vetraria. Bisogna
inoltre osservare che non tutte le tessere sono di forma
cubica o parallelepipeda: in alcuni casi potrebbe trattarsi di schegge o di scarti risultanti dal taglio.
Tra i reperti, molti dei quali residuali, rinvenuti negli
interri della Fase 6, che segna la cessazione di ogni forma
di attività artigianale, spicca tuttavia un pane di vetro
dello spessore di circa cm 2, di colore rosso scuro, privo
dei bordi originari (fig. 17 e tav. XXIII). Le striature
verdastre, apparentemente nere, visibili in sezione, sono
dovute al rame usato per la realizzazione di questo colore, che richiedeva conoscenze molto specializzate 57.
Lastre di questo tipo, in genere discoidali (francese galettes, inglese glass cakes), rappresentano prodotti semi-
56
57
SAGUÌ 2001, in particolare pp. 307-308; SAGUÌ, MIRTI 2003.
FREESTONE, STAPLETON, RIGBY 2003.
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M.E. CALABRIA, D. FERRO, P. PALAZZO, M. PARENTI, T. PATILLI, C. PAVOLINI, I. A. RAPINESI, L. SAGUÌ
Fig. 18. - Basilica Hilariana. Goccia di aspetto vetroso dalla Fase
6 (residuo?).
Fig. 19. - Domus di Gaudentius nell’Ospedale Militare Celio. Frammento di vetro grezzo.
finiti utilizzati soprattutto dai mosaicisti: esse venivano
infatti impiegate per la produzione di tessere di mosaico,
che si ottenevano mediante la loro percussione. La realizzazione delle tessere si svolgeva in genere direttamente nei cantieri che ne prevedevano l’impiego o in
prossimità di essi, come indica l’associazione di lastre
e di tessere musive in edifici di alto livello ed in contesti diversi 58.
Degli altri 4 frammenti pertinenti alla Fase 6, illustrati e considerati indicatori di produzione da M.
Adamo 59, solo quello in basso a sinistra (una goccia dall’aspetto vetroso: qui fig. 18 e tav. XXIIIb) può forse
essere considerato tale.
Poiché non possiamo escludere che il citato pane di
vetro rinvenuto – verosimilmente come residuo – negli
strati della Fase 6 sia da associare alle numerosissime
tessere di mosaico della fase precedente, è possibile ipotizzare che tra le diverse attività artigianali attestate nel
complesso figurasse anche la produzione di tessere musive in vetro. Spingersi oltre nelle congetture sarebbe
davvero azzardato, ma non possiamo fare a meno di
chiederci se la vicinanza topografica con la chiesa di
Santo Stefano Rotondo e la coincidenza cronologica tra
le attività svolte nei decenni centrali del V secolo nell’area un tempo occupata dalla Basilica Hilariana e la
costruzione della chiesa stessa 60, rappresentino qualcosa
di più di una semplice suggestione, secondo la quale almeno alcuni artigiani attivi sul nostro sito avrebbero potuto essere impegnati nel grande cantiere dell’edificio
ecclesiastico. Che la decorazione originaria della chiesa
prevedesse anche mosaici parietali in vetro è del resto
molto plausibile, anche se non sappiamo a quale fase
si riferissero le ‘molte tessere di vetro colorato di mosaico parietale’ rinvenute negli strati di età carolingia
che riempirono il canale circolare all’esterno dell’edificio 61.
Segnaliamo, infine, un indicatore di produzione interessante, non pubblicato nel volume sugli scavi della
Basilica Hilariana in quanto proveniente da strati di
abbandono della vicina domus di Gaudentius. Si tratta
di un grosso frammento di vetro grezzo (cm 12 x 9
circa), di colore ametista (fig. 19 e tav. XXIIIc). Pur
sottolineando da un lato che la presenza di blocchi di
vetro grezzo non è assolutamente sufficiente, in assenza
di altre testimonianze, ad identificare un sito produttore, dall’altro che nulla possiamo dire della provenienza e datazione originarie del reperto, un suo
riferimento al contesto delle attività artigianali qui illustrate non è da escludere a priori.
(L.S.)
58
59
FOY 2008, con bibliografia.
In PALAZZO, PAVOLINI 2013, p. 142, fig. 198.
60
61
BRANDENBURG 2004, con ampia bibliografia.
Cfr. ibidem, p. 502.
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Fig. 20. - Basilica Hilariana, Fase 9, US 5335. Tipi ceramici dei secoli IX-XI.
Il materiale ceramico medievale della fossa 5334
Il materiale ceramico ritrovato all’interno della fossa
individuata nell’Ambiente XXIII della Basilica Hilariana era costituito da un riempimento unitario (US
5335, Fase 9) databile tra il IX e l’XI secolo 62.
62
Tra i frammenti recuperati (257 frammenti) sono
state riconosciute 6 classi ceramiche, con una prevalenza
della ceramica comune da cucina (40%) affiancata dalla
ceramica acroma depurata (35%), e solo per queste due
classi è stato possibile individuare alcune forme diagnostiche.
Cfr. M. E. Calabria, T. Patilli in PALAZZO, PAVOLINI 2013, pp. 161-165.
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M.E. CALABRIA, D. FERRO, P. PALAZZO, M. PARENTI, T. PATILLI, C. PAVOLINI, I. A. RAPINESI, L. SAGUÌ
Le olle in ceramica da cucina si caratterizzano per
il corpo globulare oppure ovoide con orlo estroflesso
(fig. 20,1-4) 63, in alcuni casi con un gradino interno (fig.
20, 5-7) 64 oppure con collo breve (fig. 21, 7-9) 65.
Le forme in ceramica acroma depurata, utilizzate per
la mensa o la dispensa, sono anch’esse per lo più costituite da olle a orlo estroflesso, il più delle volte leggermente ingrossato (fig. 20, 13-15), e corpo tendenzialmente ovoide o globulare 66. A questa stessa classe appartiene un’anforetta biansata ad alto collo leggermente
rientrante, quasi del tutto integra (fig. 21, 7-10), decorata
a pettine con fasce di linee che delimitano gruppi di piccoli tratti 67.
Il materiale invetriato è rappresentato da frammenti
a vetrina pesante (9%) con decorazione a pinoli, rivestiti prevalentemente da una vetrina che va dai toni del
verde oliva a quelli del giallo intenso. Sono stati riconosciuti due frammenti di brocche ad alto collo e orlo
verticale (fig. 20, 11) segnate esternamente da scanalature e databili tra la fine del IX e il X secolo 68, e alcuni esemplari di fondi, probabilmente scarti di
lavorazione, convessi, con decorazione incisa a onda.
Solo il 2% del contesto è rappresentato da frammenti
con una vetrina marrone piuttosto scadente; è stata riconosciuta solo un’olla con orlo ingrossato a sezione
lenticolare e profilo curvilineo, confrontabile con una
forma simile rinvenuta a Porto e databile al VII secolo
(fig. 20, 12) 69.
La vetrina sparsa (3%) è rappresentata esclusivamente da piccoli frammenti che non offrono informazioni utili da un punto di vista diagnostico. I frammenti
di anfore costituivano l’11% del materiale, ma anche
per questi non è stato possibile risalire al tipo e alla relativa datazione.
L’esame dei materiali evidenzia un contesto cronologicamente omogeneo con forme piuttosto comuni nel
panorama romano altomedievale.
Alcuni difetti morfologici riscontrati su fondi convessi di olla in ceramica a vetrina pesante (fig. 21), la
mancanza di rivestimento vetroso su forme notoriamente invetriate 70, e tracce di vetrina occasionale su
forme in ceramica comune lasciano supporre che tra il
complesso del materiale ceramico proveniente dalla
fossa 5334 ci siano materiali di scarto provenienti da
un’ipotetica zona di produzione situata nei pressi dell’area e non ancora identificata.
(M.E.C., T.P.)
Per i confronti si veda MANACORDA 1985, p. 176, n. 6; PAT1991, p. 123, fig. 24, n. 11.
64
PAROLI, VENDITTELLI 2004, p. 511, tav. II, 21 e p. 514, n. 41.
65
MANACORDA 1985, p. 179, n. 62; ARENA, DELOGU, PAROLI et
alii 2001, p. 579, V.4.5; PAROLI, VENDITTELLI 2004, p. 514, n. 42.
66
RICCI 1998, p. 39, fig. 4.6; ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001,
p. 522, IV. 6. 51.
ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001, p. 561, V.1.6.
ARENA, DELOGU, PAROLI et alii 2001, p. 578, IV.2.
69
PAROLI, VENDITTELLI 2004, p. 447, n. 32.
70
Tra i frammenti con decorazione a pinoli sono emersi due esemplari completamente privi di vetrina (fig. 22): si tratta di un frammento di parete riconducibile a una brocca e di un orlo di
scaldavivande o coperchio.
Fig. 21. - Basilica Hilariana, Fase 9, US 5335. Fondo di olla in ceramica a vetrina pesante.
Fig. 22. - Basilica Hilariana, Fase 9, US 5335. Frammenti con decorazione a pinoli, privi di vetrina.
63
TERSON
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Basilica Hilariana, pianta della Fase 3 (da Palazzo, Pavolini 2013).
TAVOLA XX
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TAVOLA XXI
Basilica Hilariana, pianta della Fase 4b (da Palazzo, Pavolini 2013).
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Basilica Hilariana, pianta della Fase 5 (da Palazzo, Pavolini 2013).
TAVOLA XXII
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TAVOLA XXIII
a. Basilica Hilariana. Pane di vetro dalla Fase 6 (residuo?).
b. Basilica Hilariana. ‘Goccia’ di aspetto vetroso dalla Fase 6 (residuo?).
c. Domus di Gaudentius nell’Ospedale Militare Celio. Frammento
di vetro grezzo.
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INDICE
A. MOLINARI, R. SANTANGELI, L. SPERA, L’archeologia della produzione a Roma (secoli V-XV). Introduzione
5
L. SPERA, C. PALOMBI, La banca dati e il GIS degli indicatori di produzione. Note topografiche e prime riflessioni
di sintesi
9
N. GIANNINI, Il GIS e le attività produttive a Roma in età medievale. Una questione di metodo tra tendenze e fatti
73
ROMA ANTICA COME CENTRO PRODUTTIVO
C. PANELLA, Roma imperiale come centro produttivo: le evidenze archeologiche
F. COARELLI, Le attività artigianali nella Roma di età imperiale: fonti letterarie e fonti epigrafiche
97
119
EVIDENZE DI ATTIVITÀ PRODUTTIVE DAI GRANDI CANTIERI DI SCAVO
L. VENDITTELLI, M. RICCI, L’isolato della Crypta Balbi
127
R. MENEGHINI, Fori Imperiali. Testimonianze di attività produttive medievali
143
M. SERLORENZI, G. RICCI, Passeggiando nella produzione: un excursus diacronico (VI-XIV secolo) attraverso
gli indicatori della produzione provenienti dagli scavi della Metro C (piazza Venezia, piazza Madonna di Loreto,
via Cesare Battisti)
153
M. E. CALABRIA, D. FERRO, P. PALAZZO, M. PARENTI, T. PATILLI, C. PAVOLINI, I. A. RAPINESI, L. SAGUÌ,
Produzioni manifatturiere nella Basilica Hilariana sul Celio fra tarda antichità e alto Medioevo
173
R. PARIS, R. FRONTONI, G. GALLI, C. LALLI, Dalla villa al casale: attività produttive nella villa dei Quintili
195
ATTIVITÀ PRODUTTIVE NEI SECOLI V-XV: RELAZIONI DI SINTESI
A. ROVELLI, La produzione della moneta a Roma tra tarda Antichità e Medioevo. Note su alcune questioni aperte
213
L. SAGUÌ, B. LEPRI, La produzione del vetro a Roma: continuità e discontinuità fra tardo antico e alto Medioevo
225
H. DI GIUSEPPE, La produzione laniera a Roma tra tardo antico e Medioevo: un caso di industria disattesa?
243
V. LA SALVIA, Impianti metallurgici tardoantichi ed altomedievali a Roma. Alcune riflessioni tecnologiche
e storico-economiche a partire dai recenti rinvenimenti archeologici a Piazza della Madonna di Loreto
253
G. RASCAGLIA, J. RUSSO, La ceramica medievale di Roma: organizzazione produttiva e mercati (VIII-XV secolo)
279
J. DE GROSSI MAZZORIN, Lo sfruttamento degli animali domestici a Roma e nel Lazio nel Medioevo
309
L. PESCUCCI, F. PORRECA, P. CATALANO, Vivere e lavorare al centro di Roma in età medievale:
il contributo dell’antropologia fisica
325
R. SANTANGELI VALENZANI, Calcare ed altre tracce di cantiere, cave e smontaggi sistematici degli edifici antichi
335
D. ESPOSITO, Tecniche murarie ed organizzazione dei cantieri, secoli VIII-XV: alcuni indicatori
345
C. CARLETTI, Produzione epigrafica tra tarda Antichità ed alto Medioevo. Discontinuità e tradizione
355
F. GUIDOBALDI, A. GUIGLIA, I rivestimenti pavimentali e parietali a Roma fino al IX secolo: le dinamiche
delle scelte decorative e della produzione
369
G. BORDI, Tra pittura e parete. Palinsesti, riusi e obliterazioni nella diaconia di Santa Maria in Via Lata
tra VI e XI secolo
395
I. BALDINI LIPPOLIS, Gioielli e oggetti in metallo prezioso
411
ATTIVITÀ ARTIGIANALI E BOTTEGHE ATTRAVERSO LE FONTI SCRITTE
C. WICKHAM, Gli artigiani nei documenti italiani dei secoli XI e XII: alcuni casi di studio
429
J.-C. MAIRE VIGUEUR, Il mondo dei mestieri a Roma
439
CONFRONTI CON ALTRE AREE ITALIANE ED EUROPEE
G. BIANCHI, A. CAGNANA, Maestranze, ambiente tecnico e committenze dei cantieri nel centro nord dell’Italia
tra alto e basso Medioevo
467
P. BERNARDI, La construction et les chantiers de la France médiévale
481
E. GIANNICHEDDA, Casi specifici e considerazioni generali sui tecnocomplessi dell’Italia settentrionale
493
F. CANTINI, Forme, dimensioni e logiche della produzione nel Medioevo: tendenze generali per l’Italia centrale
tra V e XV secolo
503
P. FAVIA, R. GIULIANI, M. TURCHIANO, La produzione in Italia meridionale fra tardo antico e Medioevo:
indicatori archeologici, assetti materiali, relazioni socio-economiche
521
C. LOVELUCK, Specialist artisans and commodity producers as social actors in early medieval Britain,
c. AD 500-1066
553
C. DYER, The urbanization and de-urbanization of industrial production in England, 900-1500
571
S. GUTIÉRREZ LLORET, La mirada del otro: Al-Andalus
583
J. A. QUIRÓS CASTILLO, Dalla periferia: archeometallurgia del ferro nella Spagna nord-occidentale
nell’alto e pieno Medioevo
597
A. MOLINARI, La produzione artigianale a Roma tra V e XV secolo. Riflessioni sui risultati di uno studio
archeologico sistematico e comparativo
613
RIASSUNTI/ABSTRACTS
637
GLI AUTORI
656
TAVOLE
659
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